VICTORIA
VILLASANA


di Guya Manzoni


Incollare un’opera su un muro per strada
è il mio modo di creare una connessione
con la gente.


Del Messico ho sempre amato quella sua capacità incredibile e quasi surreale di essere un paese in bilico; quel caos – solo apparente, in realtà – che lo rappresenta e lo contraddistingue.
Il Messico è un paese resistente: è la Terra Madre di culture antichissime e ancestrali che ha rivolto lo sguardo a una modernità che lo ha travolto, sconvolto, ma mai del tutto. Così, quando ho scoperto il lavoro di Victoria Villasana (Guadalajara, classe 1982) ne sono rimasta affascinata: come se in qualche modo rappresentasse anch’esso una sintesi, un ponte fra tradizione e avanguardia, tra passato e contemporaneità.

Victoria è una textile artist, le sue opere sono caratterizzate da vivacissimi ricami realizzati su immagini in bianco e nero.
Lei stessa si definisce “interessata a come le persone si relazionano fra loro in un mondo frammentato e
post-digitale”: di connessioni, identità e relazioni abbiamo parlato in questa intervista.

Identità e radici. Qual è il legame che senti con la cultura del tuo paese e come lo trasmetti nelle tue opere?

La nostra identità si compone di molte cose: di radici e di esperienze.

Senza dubbio essere nata qui è parte delle mie radici, la mia famiglia è di qui e qui ho passato tutta la mia infanzia. Il Messico ha molte identità: la mezcla di culture indigene ancestrali e di contaminazioni europee è l’essenza stessa di questo paese, nelle sue tradizioni, contraddizioni, peculiarità.

Anche Londra, dove ho vissuto per diversi anni, è una città decisamente multiculturale, dove il concetto di diversità emerge fortissimo e allo stesso tempo è naturale: cammini per la strada ed è come stare contemporaneamente in tanti paesi diversi. Per me vedere tutte queste culture, queste tradizioni integrate fra loro con naturalezza, con le loro storie, le loro visioni è super importante. Sento che c’è una radice comune che ci unisce tutti nel nostro essere umani: mi piace ricercarla e trasmetterla attraverso il mio lavoro. 

Nelle tue opere in effetti questa mezcla emerge fortissimo: i colori e la tecnica ricordano il Messico, sono molto caratteristici, ma nelle tue opere utilizzi immagini di riferimento molto contemporanee: personaggi iconici, musicisti, artisti, personaggi politici…
Qualsiasi tema che sviluppo nelle mie opere riguarda qualcosa che mi ha emozionato, qualcosa che è successo nella mia vita o qualcosa che mi ha colpito di quel che succede intorno a me e nel mondo. Sono affascinata da questi personaggi che hanno rotto con lo status quo, che hanno realizzato cambiamenti, che si sono posti controcorrente rispetto ai paradigmi e alle regole che la società impone: per questo fra i miei lavori troverai personaggi tanto diversi fra loro ma allo stesso tempo uniti da questo filo comune: da Jimi Hendrix alla guerrigliera del YPJ… Poi sono anche le immagini a ispirarmi: spesso sono vecchie fotografie che recupero ai mercatini, o foto di archivio di dominio pubblico. Ogni tanto le ricerco, ma il più delle volte è semplicemente è un percorso intuitivo, non c’è niente di pianificato. Scelgo l’immagine che mi stimola, che mi muove qualcosa dentro e poi cerco di canalizzare, di connettermi con l’energia creativa, di lasciarla fluire. 

Quello che viene fuori è qualcosa molto legato al momento, a quello che provo mentre sto ricamando, un po’ come se fossero ago e filo a parlare per me.

Così diventa quasi una forma di meditazione, no?

Esattamente. Un mezzo che permette di connetterti alle tue emozioni senza pensare, un po’ come quando sei piccola e prendi in mano i pastelli per disegnare, senza domandarti tanto se il disegno verrà bene o male: disegni per ore ed è la tua energia che fluisce, e tu non fai altro che lasciarla andare. 

La manualità è terapia, una necessità: usare le mani mi aiuta a concentrarmi sul momento presente, a percepire le emozioni e a trascenderle, a trasformarle. Così questi momenti diventano per me un processo quasi catartico, che in qualche modo guarisce. 

Il ricamo in effetti è una forma di espressione molto antica e piena di significati. In Messico, poi, i disegni e i colori dei ricami hanno un valore tradizionale molto legato alle culture indigene… 

Mi chiedono spesso se mi ispiro alle culture indigene per quanto riguarda il lavoro sul tessile, perché in effetti in Messico la tessitura e il ricamo hanno una storia simbolica, legata alle culture ancestrali. La verità è che sicuramente essere nata e cresciuta qui mi è stato di ispirazione, come dicevamo prima fa parte delle mie radici, ma allo stesso tempo l’utilizzo di questa tecnica è stata una scelta molto intuitiva, emozionale. In effetti, se ci penso, non avevo mai preso in mano ago e filo per fare un ricamo!

Beh, da ragazzina mi piaceva comprare abiti di seconda mano e customizzarli: tagliare, riassembrare, realizzare decori. Per un periodo ho lavorato anche nella moda con fashion stylist. Ho cominciato a Londra, e mi piaceva moltissimo la parte creativa di questo lavoro. Poi però ho sentito che qualcosa di quel mondo stonava con me, mi lasciava vuota. Come se non riuscissi a comunicare, a passare un messaggio.

Quindi è per questo che hai cominciato a dedicarti alle tue opere e alla street art?

La condivisione per me è qualcosa di fondamentale.

Se da una parte il ricamo è una forma di introspezione, dall’altra sento poi il bisogno di condividere quel sentimento che ho espresso, quell’emozione, la domanda che mi sono posta, o qualcosa che in quel momento risuona nella mia vita.

Perché alla fine il desiderio non è solo quello di realizzare cose “belle e punto”, che diano soddisfazione solo a me stessa: mi interessa realizzare qualcosa che abbia un significato più profondo, e che questo significato possa muovere qualcosa anche nelle persone che vedono i miei lavori, che possa essere condiviso.

Qual è il significato che dai a questo tipo di forma artistica?  Perché proprio la strada?

Incollare un’opera su un muro per strada è il mio modo di creare una connessione con la gente. Perché alla fine non importa da dove veniamo e quali radici culturali abbiamo, siamo tutti qui e tutti ci poniamo le stesse domande: rispetto alla nostra condizione umana, sulla nostra esistenza, sul perché succedono certe cose… è questa la connessione che mi interessa creare e condividere.

Ovviamente le mie opere non sono molto durevoli: sono fatte di carta e filo, quindi spesso non durano molto. A volte qualche mese, però capita spesso che si distruggano con un acquazzone, o che qualcuno se le porti via.

Però trovo che anche in questo sia racchiuso un significato, che anche questo aspetto faccia parte della riflessione. Sono attimi di condivisione, emozioni passeggere: potenti ed effimere, un po’ come la vita.